La conquista dello spazio da tempo non è più (o perlomeno, non solo) una questione di supremazia geopolitica come ai tempi di Armstrong e Gagarin. È diventato un business sempre più pervasivo e rilevante con conseguenze molto terrestri, anche in termini di opportunità potenzialità: al di là dei viaggi spaziali per miliardari annoiati (che comunque rappresentano pur sempre un ramo di business), è nei satelliti che risiede la vera frontiera di sviluppo dell’industry dell’aerospace. Una frontiera verso la quale sono diretti non solo gli sforzi delle grandi agenzie aerospaziali o di imprenditori visionari (e con un grande senso del Marketing) come Elon Musk, ma anche piccole realtà, startup nate da un’intuizione e trasformate in realtà. Tra queste ve n’è una tutta italiana, PicoSatS, spin-off dell’Università di Trieste la cui vision è quella di creare un mondo sempre più interconnesso e sostenibile grazie a satelliti più compatti e soluzioni avanzate che rendano lo spazio accessibile.

Nata da AtmoCube, un’attività didattica e di ricerca finalizzata alla costruzione del primo piccolo satellite triestino, l’azienda è stata fondata nel 2014 ed ha sede nell’Area Science Park, il più grande Parco Tecnologico d’Italia. PicoSatS è stata fondata da un gruppo multidisciplinare di persone con competenze complementari e una solida esperienza nel campo dell’ingegneria, della gestione industriale, della produzione e delle missioni spaziali internazionali (ESA e NASA).

Il round di investimenti è di 1 milione di euro, nel quale LIFTT ha investito 500.000 euro. L’ambito di intervento è quello dei satelliti di piccole dimensioni. Un mondo affascinante, spiegato dalla founder e docente universitario Anna Gregorio.

Inizialmente volevamo fare di tutto. Intendo proprio il satellite completo – spiega la scienziata. Avevo alle spalle un’esperienza immersiva ed entusiasmante: dal 2009 al 2013 avevo vissuto una grandissima missione con l’Agenzia spaziale Europea in qualità di responsabile delle operazioni e degli strumenti. Avevamo lanciato un satellite da due tonnellate, una delle più importanti missioni dell’ESA e anche dell’Agenzia spaziale italiana.

Tornata a Trieste, ho proseguito sull’onda dell’entusiasmo, cambiando però le dimensioni dei satelliti di cui intendevo occuparmi, dedicandomi ai micro-satelliti. I fisici e il Rettore mi hanno sempre dato carta bianca e per PicoSats mi hanno appoggiato sin dall’inizio anche finanziariamente. Ho preso però presto atto che occorreva restringere non solo la dimensione dei satelliti di cui occuparsi, ma anche l’ambito di attività: “fare” un satellite completo è infatti qualcosa di enormemente complesso anche dal punto di vista logistico e organizzativo, considerando la struttura meccanica del satellite ed i molti elementi al suo interno, dai pannelli solari al computer di bordo fino alle batterie, alla radio e a qualche sistema scientifico di telecomunicazione. Disponendo all’epoca di un team di sole 5 persone, ho necessariamente selezionato gli obiettivi”. “Siamo stati i primi in Europa e tra i primi al mondo a riuscire a miniaturizzare le radio ad alta frequenza, sia in ricezione che in trasmissione. Il nostro satellite è infatti eccelle anche nell’invio di dati dalla terra verso il satellite”

Qual è il vostro core business?

 “Poiché il dato di realtà è un elemento da cui ogni ricercatore non deve e non può prescindere, abbiamo deciso di focalizzarci principalmente sullo sviluppo di sistemi di telecomunicazione, cioè le radio di bordo e le antenne. Dal punto di vista produttivo e di design la radio è la cosa più difficile da fare edestremamente più costosa.

Quando si parla di piccoli satelliti si intendono cubi di 10 cm di lato come base unitaria, in pratica mezza scatola di scarpe, da un chilo di massa ma componibili come dei LEGO: li si può infatti accostare e comporre creando dei satelliti più grandi fino ad ottenere dei cubi di 30 cm di lato e 50 kg di massa. Sono nati a scopo didattico ed è il motivo per cui mi sono avvicinata a quest’ambito, scoprendo però presto che questi satelliti possono avere impieghi commerciali”.

 Perché proprio le telecomunicazioni?

“In un mondo per alcuni aspetti ancora pioneristico quale quello satellitare, abbiamo individuato nelle telecomunicazioni un grande potenziale di sviluppo, perché nei piccoli satelliti sono soggette a molte limitazioni dovute all’impiego di sistemi radio addirittura di tipo amatoriale, per una questione di facilità di ottenimento delle licenze. In pratica è sufficiente iscriversi come radio amatore per avere il proprio satellite, sono poco costosi e ne esistono tanti sul mercato. Il problema di questi sistemi e che lavorano a bassa frequenza e la conseguenza è che trasmettono pochi dati e molto lentamente. Abbiamo quindi individuato un’area di business molto promettente che consiste nello sviluppo di tecnologie in grado di trasmettere ad una frequenza più elevata, la KA, l’equivalente del passaggio da un vecchio modem a una moderna ADSL. Questo comportava però una sfida inedita: in satelliti miniaturizzati le radio ad alta frequenza non sono ospitabili, perché richiedono dimensioni elevate, pena il rischio di interferenze.”

Ed è qui che interviene la vostra tecnologia proprietaria?

Esattamente. Il nostro valore aggiunto consiste appunto nella miniaturizzazione delle radio ad alta frequenza: siamo stati i primi in Europa e tra i primi al mondo a essere riusciti a miniaturizzarle, sia in ricezione sia in trasmissione. Radiosat in particolare è un sistema di comunicazione avanzato per piccoli satelliti che abilita la condivisione di grandi quantità di dati a velocità elevate, ad un costo competitivo e in modo più sostenibile rispetto a quanto presente oggi sul mercato. Funziona sia da ricevitore sia da trasmettitore, e la sua peculiarità è che può essere riadattato ed utilizzato anche per bande di frequenza e con applicazioni diverse, non solo per le telecomunicazioni. Il nostro progetto è piaciuto molto all’Agenzia Spaziale Europea e adesso disponiamo del nostro primo prototipo di radio miniaturizzata ad alta frequenza per piccoli satelliti, e siamo pronti a portarlo nello spazio per testarlo nel suo ambiente naturale.”

Cosa vi differenzia dal progetto Starlink di Elon Musk?

 “Il nostro prodotto non è un piccolo satellite che fornisce connettività a tutto il mondo come avviene per Starlink anche se, per inciso, lavoriamo sulle stesse frequenze di Starlink, bensì un componente che può essere impiegato in tutti gli ambiti in cui è necessaria la comunicazione, dai satelliti appunto sino alle navi. Attualmente la trasmissione è tra radio e radio e tra satellite e terra, ma quello che è fondamentale è che la comunicazione avvenga anche intrasatellite, il cosiddetto intersatellite link.

A cosa servirà il round di finanziamento?

“A crescere. Abbiamo due step nel mirino: svilupparci sul mercato – e a questo riguardo abbiamo già siglato contratti con due clienti – e validare i nostri prodotti con il lancio in orbita programmato tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2023. Qui in Italia, come in Europa, il concetto di investitore è un concetto difficile. Si segue il principio dell’uovo e della gallina: prima ti dicono che devi avere l’hardware da proporre al mercato e quando ce l’hai ti dicono che dovevi chiedere i finanziamenti prima. Negli Stati Uniti è diverso: sanno che sei una startup non puoi avere i requisiti di un’azienda strutturata e dalle radici solide e ti valutano quindi in maniera diversa, soprattutto in un settore come lo spazio che in questo momento è sulla cresta dell’onda. Io intendo quindi capitalizzare il mio network relazionale, che mi ha consentito di far nascere e crescere questa realtà anche grazie alle connessioni di cui disponevo presso l’Agenzia Spaziale Italiana, nella persona del suo Presidente o del suo responsabile tecnologico e scientifico. In questo modo mi trovo ad essere a capo di un’azienda che oggi conta 4 soci principali e che può contare sul supporto di Madein.it, l’iniziativa promossa da Innovation Factory che si occupa di supportare le startup e le PMI innovative sia a livello nazionale sia internazionale e ci ha permesso di entrare nel programma Prospera Women, un’iniziativa internazionale che supporta le startup al femminile.

Passare dall’ideare qualcosa di bello e utile a ragionare in termini economici, progettando un oggetto che sia anche remunerativo, non è affatto semplice: per questo vogliamo sviluppare appieno le potenzialità insite nella tecnologia proprietaria che abbiamo sviluppato, e per farlo è necessario un sostegno finanziario ed un supporto strutturato nel nostro percorso di crescita, anche a livello organizzativo e commerciale.”